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Napoli, San Gennaro non basta: i cinque passi falsi di De Laurentiis
Pubblicato
6 anni fa|

Se non è un disastro, poco ci manca. Il Napoli è fuori dalla Coppa Italia, sesto in classifica a otto punti dalla Lazio, al momento detentrice dell’ultima piazza utile per la Champions League, e in piena crisi di identità. Resta solo la Supercoppa italiana, vinta nella strana notte di Doha, un mare di rimpianti e l’Europa League, ultimo salvagente possibile per salvare una stagione che sarebbe fallimentare. Il paradosso dei paradossi è che il Napoli ha tutti i mezzi per conquistarla, ma non è sufficiente per giustificare gli errori di De Laurentiis, responsabile numero uno della crisi partenopea. Nel calcio si vive con la programmazione e le idee chiare. Se si improvvisa, San Gennaro non basta.
I CINQUE PASSI FALSI DI DE LAURENTIIS
1) PUNTARE SU BENITEZ – Il pedigree del grande allenatore non gli manca, è innegabile, ma ogni tecnico ha un habitat ideale per costruire un progetto secondo le sue idee. Napoli non è l’ambiente giusto per Benitez. Questione di approccio al calcio italiano e di carattere. Lo spagnolo è un integralista, totalmente incapace di adattare le sue chiavi tattiche alle esigenze di un campionato e della rosa che ha disposizione. Il 4-2-3-1, dal fortissimo sapore europeo, mal si sposa nel contesto italiano, specie se si hanno a disposizione una difesa inadeguata ed una mediana imbarazzante. Funziona – e non sempre – nelle partite secche, ma la stagione giusta si costruisce giorno dopo giorno. In questo senso, Benitez è un assente ingiustificato. L’apatia accademica dell’ex tecnico del Liverpool non ha fatto breccia nei cuori dell’infuocata piazza partenopea. Questione di feeling, non solo di moduli.
2) BIGON? CHI? – È il direttore sportivo del Napoli, ma non ha poteri decisionali. Le manie d’onnipotenza di De Laurentiis l’hanno assorbito inesorabilmente, relegandolo ad un ruolo da fermacarte, o poco più. Gli manca il carisma necessario per imporsi in una grande piazza, oppure è De Laurentiis ad averne eccessivamente. Il suo incarico, potenzialmente decisivo negli equilibri societari, è invece anonimo, senza alcuna impronta. Una grande squadra è formata da grandi investitori, affiancati da grandi consiglieri. DeLa non ce l’ha, e si vede.
3) NON SI VIVE DI SOLO ATTACCO – La distanza che separa la qualità delle bocche da fuoco napoletane dalla mediocrità dei difensori è enorme. Puntare su gente del calibro di Higuain, Callejon, Mertens e Gabbiadini è inutile se poi si gioca con Maggio, Koulibaly e Albiol in retroguardia. E poi c’è il nodo portiere, mai risolto dopo l’addio di Reina: Rafael e Andujar non sono pronti e si sapeva da inizio stagione. L’unico a non averlo capito è stato De Laurentiis.
4) LOPEZ E I SUOI FRATELLI – L’ultimo mercato estivo del Napoli è stata la fiera delle incertezze. Dopo aver passato tre mesi ad inseguire il centrocampista giusto per valorizzare il gioco di Benitez e fare l’investimento ideale per accedere ai gironi di Champions League, i partenopei hanno puntato su David Lopez, poi rivelatosi poco più di un bidone. A gennaio c’è stata l’occasione per porre rimedio ed invece hanno puntato su Gabbiadini, l’ennesimo attaccante. Le priorità del Napoli erano altre. Benitez ha consigliato, Bigon non ha agito e De Laurentiis ha improvvisato. Che disastro.
5) ESSERE AURELIO DE LAURENTIIS – L’ultimo dei passi fassi di De Laurentiis è una condizione esistenziale imprescindibile: è troppo napoletano. La foga e la passione dei tifosi sono il grande punto di forza della squadra, ma se è così anche il presidente c’è qualcosa che non va. Un ambiente infuocato deve essere equilibrato attraverso calma, pazienza e buon senso, qualità sconosciute all’imprenditore cinematografico. Ha investito, ha tifato, ha pregato, però non ha programmato, lasciando spazio a periodiche intuizioni. Vincere con presupposti del genere è un’impresa titanica.
@antoniocasu_
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