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Calciopoli e Juventus: mai vista una “vittima” così “temeraria”

Di solito va così: da un lato c’è la storia, dall’altro chi la nega. L’uomo sulla luna? E’ tutta una montatura. I campi di sterminio? Idem, mai esistiti. L’attacco terroristico alle Torri Gemelle? Ma quale attacco terrosistico: è stata la Cia… Calciopoli e la Triade? Tutti assolti, nessuna frode: ridateci gli scudetti e pagate pure i danni.

Luciano Moggi, protagonista di Calciopoli
TRAME NERE (AZZURRE) – Questo succede un po’ ovunque, naturalmente, ma è proprio qui da noi, nel Belpaese dei gombloddi (e del gioco delle tre carte), che la mala pianta del negazionismo trova il suo humus ideale. Accade, così, in questa nostra farsesca contrada, che Calciopoli diventi ben presto Farsopoli, e che i protagonisti del più grande scandalo della storia del calcio italiano ora si dipingano come le vittime di un’oscura cospirazione. “La mia battaglia va avanti – ha detto Luciano Moggi ai microfoni di Radio Crc – mi rivolgerò alla corte europea dei diritti dell’uomo per cancellare anche la radiazione sportiva e tornare nel mondo del calcio“.
PROPAGANDA DI REGIME – E già: Buchenwald era un parco-giochi, e l’unica colpa della creatura di Casa Agnelli – quella che fu beccata a mettere additivi nella benzina, non l’altra – era quella di essere più forte di tutti: per questo fu messa fuori combattimento in quel lontano e fatidico 2006, solo per questo. Tutto il resto, a partire dall’esistenza – ribadita per l’ennesima volta anche dalla Cassazione – “di un’associazione a delinquere finalizzata a condizionare i risultati delle partite, le designazioni arbitrali, le carriere dei direttori di gara e l’elezione dei vertici della Lega calcio”, semplicemente non esiste, oppure viene ridimensionato ai minimi termini. Calciopoli? Così facevano tutti, diciamolo, compresi i “cartonati prescritti”, ma “a pagare – Agnelliraptor dixit – fu solo la Juve“.
IL PUDORE, QUESTO SCONOSCIUTO – Una terribile ingiustizia, insomma, un torto gravissimo che può essere riparato solo con un risarcimento proporzionato al danno subìto. 444 – o 443, sui giornali circolano entrambe le cifre – milioni di euro: ecco la somma che Juventus pretende dalla Figc dell’ostile Carlo Tavecchio, ecco la cifra astronomica – roba che manderebbe in tilt anche la Germania di Angela Merkel, ma non perdiamoci in dettagli – che i bianconeri esigono macchinetta calcolatrice alla mano (130 milioni per il calo in Borsa, 110 per la svalutazione del marchio, 80 per la mancata partecipazione alla Champions League, 40 per la diminuzione dei diritti Tv, ecc., ecc.) per archiviare “Farsopoli” e riguadagnare l’onore perduto. O almeno gli scudetti.
TANTO VA LA GATTA AL SOLDO… – “La richiesta di risarcimento della Juventus al Tar è una lite temeraria“ ha commentato ieri Carlo Tavecchio, e la terminologia usata dal presidente della Federcalcio non è casuale. Nel linguaggio giuridico, infatti, la lite temeraria “indica un’azione legale esperita con mala fede e colpa grave, ossia con consapevolezza del proprio torto o con intenti dilatori o defatigatori. Questo comportamento – prosegue Wikipedia – è illecito e quindi in caso di soccombenza vi è una responsabilità aggravata che comporta il risarcimento di tutti i danni alla parte lesa derivanti dalla partecipazione ad un giudizio ingiustificato“. Come se non bastasse, la parte lesa non è tenuta in alcun modo a “fornire la prova concreta del danno subìto”. Come a dire: occhio Agnelliraptor. La legge la conosciamo, le sentenze sappiamo leggerle (“Abbiamo preso atto che un reato, non di poco conto, c’è stato e che un soggetto – Tavecchio allude all’ex arbitro Massimo De Santis, ndr – che ha rinunciato alla prescrizione è stato condannato. Quindi il teorema è confermato: qualcosa di illecito c’è stato”) e sappiamo altrettanto bene che quando gli arbitri sono togati i precedenti della Juve sono da zona retrocessione. Quindi stai molto attenta, cara “vittima” illustre: i risarcimenti, quelli dovuti, non vanno in prescrizione.
Morale della favola? Prima di Calciopoli c’era la famiglia Agnelli, oggi c’è ancora. Con una differenza, però: oggi è molto più “temeraria”.
Enrico Steidler
