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Benitez, allenatore e gentiluomo
Incominciare a scrivere di Rafa Benitez, quando molta parte della critica – napoletana e non – gli punta l’indice contro, e soprattutto pensare di scriverne bene, è impresa assai ardua, per certi versi impossibile se si guarda ai numeri delle ultime sei gare di campionato: 13 punti persi sulla Lazio, che da -8 è ora a +5, e la miseria di 5 punti conquistati su 18 (chi è sveglio in matematica intuisce che in quelle stesse gare la Lazio ha invece fatto bottino pieno), forse anche meno di qualcuna delle ultime squadre nelle retrovie. Le sconfitte di Verona, Torino e forse ancor più il contestatissimo pareggio interno di domenica contro l’Atalanta, hanno fatto da stura per le polemiche e l’acredine di molti tifosi, ex tecnici, ex calciatori, commentatori in poltrona, e chi più ne ha più ne metta.
TUTTI CONTRO BENITEZ – I suoi cambi, il suo turn-over, le sue scelte tecniche, il modulo da adottare, tutto viene messo al vaglio e spesso, da molti, demolito; fin qui ci siamo, lui conosce che questo è anche quello che consegue quando fai l’allenatore ad altissimi livelli, e quando alleni il Napoli è il minimo che ci si possa attendere. Ma quando cominciano ad essere intaccati altri aspetti della personalità, del carattere, in una del modo di essere di una persona, per quanto grande allenatore, allora secondo noi il discorso non è più ammissibile. Quando nel corso di un’intervista televisiva si deridono i silenzi, le pause, la reticenza a parlare dopo una sconfitta (forse anche perché non si prova molta simpatia per l’intervistatore, nonché critico calcistico, Massimo Mauro), lì si sta facendo sciacallaggio, e verrebbe da chiedersi se il problema sia la ritrosia a rispondere di Benitez, oppure sia il fastidio per chi non riceve risposta e non può dimostrare quanto le proprie domande, o i propri appunti critici, siano fondati e intelligenti.
Rafa Benitez in questo momento è in evidente difficoltà, solo che, rispetto ad altri passaggi critici della sua carriera, sta reagendo senza indossare maschere: il dispiacere, la rabbia, la commozione per il dolore di una sconfitta, o per come questa è maturata, gli sono dipinti sul volto, non quello solo dell’allenatore costretto a calarsi in un ruolo pubblico artefatto e ingessato, ma quello di un uomo affranto e stanco per le recenti disavventure sportive della sua squadra. Quando questi segnali, queste emozioni coraggiosamente palesate in pubblico, vengono vivisezionate e interpretate come un segnale di resa, di impotenza, di depressione, se non addirittura derise, insomma un disvalore più che un merito, allora capiamo che il mondo del calcio, di quello di commenti televisivi in particolare, non porta rispetto per gente garbata, educata e sinceramente amareggiata, rea forse di non aver risposto alle domande di un suo insigne esponente (Mauro), che, per la cronaca, aveva definito disonesto Benitez dopo la sconfitta a Torino (salvo poi smentire che il disonesto fosse riferito a lui).
RETROSPETTIVA DI UN SIGNORE – Un signore, Benitez, che peraltro non si è mai negato alla stampa in passato, se non per decisioni presidenziali, un allenatore mai fino a domenica scorsa allontanato dalla panchina, una persona che non ha mai montato polemiche, né rivolto accuse o acceso sterili diatribe con i colleghi, mai presenzialista o esageratamente protagonista, insomma una persona per bene, a nostro avviso. Che abbia commesso degli errori nella gestione dell’ultima parte di campionato non ci sono dubbi, ma è altrettanto indubitabile che il Napoli, con un organico forse non pienamente attrezzato per eccellere su tutti i fronti, ha detto e dice la sua ancora in tre competizioni, e circa 4 mesi fa, è stato capace di battere la Juve dopo una partita memorabile, durante la quale siedeva in panchina un certo ‘Signor’ Rafa Benitez, di professione allenatore e gentiluomo.
Fulvio Fontana