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Storie di Sport: Firenze, la coppa e l’alba viola del Mancio

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Mancini allenatore della Fiorentina 2000/01.

Cosa serve per diventare un allenatore di successo? Se si facesse questa domanda a uno qualsiasi degli allenatori della Serie A italiana la risposta sarebbe una e una sola. Non il talento, non una solida preparazione atletica, nemmeno delle geniali intuizioni tattiche. Quelle sono cose che si possono imparare strada facendo, ciò che conta è la gavetta. Farsi le ossa in polverosi campi di provincia, allenare giocatori sul filo del dilettantismo per poter aspirare ai campioni – un po’ viziati – della massima serie, oppure fare da vice a qualche tecnico navigato, per assimilarne credo e metodologie. Chiedete a Sarri, ascoltate Gasperini, sondate addirittura il capoclasse Max Allegri. Solo in due, probabilmente, si eleveranno come voci fuori dal coro, fautori della schiera de “il talento è innato”. Non fatichereste nemmeno a cercarli, lavorano nella stessa città. Uno è Pippo Inzaghi, catapultato in prima squadra dopo un minimo di rodaggio nelle giovanili rossonere; l’altro, invece, appena smessa la maglia numero 10 si è messo subito giacca, cravatta e sciarpa d’ordinanza, e ha vinto altrettanto immediatamente. Il suo nome? Roberto Mancini.

Roberto Mancini, ha vinto  10 Coppe Italia in carriera.

Roberto Mancini, ha vinto 10 Coppe Italia in carriera.

DA ROMA A FIRENZE, PASSANDO PER LEICESTER – Dopo aver chiuso la sua avventura con la Lazio, il Mancio tenta – con poca fortuna – il salto in Inghilterra, giocando una manciata di partite con la maglia del Leicester. No, non è più cosa, e a Roberto basta un mese per capire che è il caso di smettere col calcio, giocato ovviamente. Torna nella capitale, per fare da vice a Sven Goran Eriksson, ma anche quel ruolo gli sta stretto. Troppo vecchio per giocare, troppo giovane per guidare in prima persona una squadra di Serie A. Sicuri? Cecchi Gori, nel frattempo, esonera il mister della sua Fiorentina – Fatih Terim –  e gli propone il grande passo: prendere le redini della Viola. Le polemiche insorgono, tra chi dice che non si può passare così facilmente da un club all’altro e chi invece sostiene che senza patentino no, non si può fare. Tra le critiche il Mancio ci sguazza, e raccoglie la sfida con ancora più entusiasmo.

MISTER COPPA ITALIA – La squadra non è più quella di qualche anno prima, e da li a qualche mese sarebbe stata smantellata del tutto. Rimangono ancora due o tre big come Rui Costa, Francesco Toldo ed Enrico Chiesa, insieme alla rivelazione di Euro 2000 (e solo di quello) Nuno Gomes e a qualche “grande vecchio” del calibro di Moreno Torricelli e Angelo Di Livio. Troppo poco, e troppi i punti dalle prime per sognare in grande nel campionato; ma non è quella la specialità di Roberto. Dopo averla vinta 6 volte da giocatore (record), Mancini punta alla Coppa Italia anche da allenatore. Vero, il compito è facilitato dal fatto che Terim, nel piattume generale, era riuscito a portare i gigliati in finale. Ma la finale è da vincere, e l’andata e ritorno col Parma di Buffon, Thuram, Cannavaro e compagnia non è facilissimo da scavalcare. Al Tardini la decide Vanoli dopo 86 lunghissimi minuti di sofferenza, ma al Franchi è Savo Milosevic (rimanendo in tema meteore) a ristabilire la parità. A metà ripresa ecco la giocata decisiva. La Fiorentina segna l’1 a 1, impatta la finale e si guadagna la Coppa. In rete, manco a dirlo, il redivivo Nuno Gomes. Mancini l’eccezione spezza subito la legge della gavetta, e la sua carriera la smentirà anno dopo anno. A guardare bene, però, in Serie A c’è un altro allenatore che dopo pochi mesi nelle giovanili si è ritrovato a guidare addirittura la Roma. Da calciatore aveva fatto bene proprio nella città eterna, e prima di li alla Samp. Si chiama Vincenzo Montella, se non sbaglio.

Venticinquenne milanese, amante dello Sport con la passione per la scrittura. Coordinatore per SportCafe24, responsabile della sezione Basket. Neolaureato in Comunicazione e Psicologia.

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