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Modulo, Montolivo, Menez: quando la “M” fa rima con fallimento
Pubblicato
6 anni fa|
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Davide Luciani
Il Milan continua nella sua marcia del gambero, sempre più lontano dalla zona Europa. La squadra fatica da matti a costruire gioco e, di conseguenza, a vincere le partite. Inzaghi è sempre più in confusione e, si mormora, a rischio esonero se non vincerà contro il Verona nel prossimo turno. I mali del Milan possono essere racchiusi in un’ unica iniziale: la “M”. “M” come, “male” e “Milan”, appunto, ma anche come “modulo,” “Montolivo” e “Menez“:
MODULO – Il fatto che Inzaghi non ci stia capendo nulla in questa stagione è palese nel momento in cui si nota la varietà di moduli e sistemi di gioco utilizzata dal tecnico. Ormai ai rossoneri manca solo di provare la difesa a tre e poi avranno utilizzato tutti i moduli attualmente conosciuti. SuperPippo ha iniziato la stagione con il 4-3-3, poi ha iniziato il valzer: 4-2-3-1, 4-3-2-1, 4-4-2, 4-2-4 e loro varianti. Questo ha causato solo confusione nei giocatori. I pochi automatismi messi in atto in estate sono andati presto a farsi benedire e il gioco del Milan, si è inabissato. Alla fine tutto si è ridotto ad un unico schema: palla a Menez e che Dio ce la mandi buona. Troppo poco per una squadra del livello del club sette volte campione d’Europa. Inoltre, il continuo cambio di tattica, ha portato anche ad un tourbillon di giocatori, puntando anche su chi, come Mexes, Muntari e Armero, sono da tempo fuori dal progetto rossonero. Insomma: Inzaghi ha più di una colpa. Il tecnico ha dimostrato di non avere nè le idee chiare, nè il carattere per tenere in mano uno spogliatoio importante.
MONTOLIVO – Il più grande errore del Milan, però, (e qua vanno tirati in ballo Berlusconi e Galliani) è stato fatto l’anno scorso, quando si è deciso di affidare la fascia di capitano a Montolivo. Quella fascia gloriosa portata da gente come Baresi, Maldini, Gattuso, giocatori con personalità, classe, grinta, è finita sul braccio di un giocatore, presto diventato bersaglio dei suoi stessi tifosi. Da “Lentolivo” a “Ectoplasma” si sprecano i soprannomi poco edificanti per l’ex Fiorentina. Contro il Chievo, la sostituzione dopo 45 minuti ha certificato il fallimento totale del centrocampista. Inzaghi, alla ricerca disperata di un regista, aveva deciso di affidare le chiavi del gioco al capitano. Mai scelta si rivelò più errata. Montolivo non ha le qualità per far girare palla, né la personalità per guidare la squadra. Affidare il pallone a lui è come mettere i soldi in bella mostra: state sicuri che qualcuno prima o poi ve li ruberà. Per una squadra come il Milan, che necessita di qualcuno che sappia rubare palla e verticalizzare velocemente l’azione per scatenare le ripartenze dei suoi attaccanti, l’ex Fiorentina è una palla al piede. Il problema è che non c’è un’alternativa credibile in quel ruolo. Van Ginkel si è rivelato un flop e i vari Muntari, Poli e De Jong sono quello che sono. In queste condizioni costruire delle azioni decenti costituisce un problema.
MENEZ – Può un giocatore che ha segnato 12 gol rappresentare un problema per una squadra che fatica a segnare? Può se il giocatore si chiama Jeremy Menez. Anche contro il Chievo il francese ha dimostrato di essere più adatto al calcio a 5 che a quello ad 11. Nel primo caso, il suo scatto nel breve e la sua tecnica possono fare la differenza. Con un campo molto più grande e undici avversari da affrontare, l’ex Paris Saint-Germain è un lusso impossibile da sostenere. Anche contro il Chievo, il numero 7 si è intestardito in inutili dribbling “dimenticandosi” di dialogare con Destro. Risultato: l’ex Roma è rimasto isolato, il francese ha perso tutti i palloni e il Milan non ha costruito uno straccio di azione decente. Senza un’alternativa al “palla a Menez”, questo Milan è destinato a collezionare figuraccia. In una squadra vera, il francese sarebbe un’alternativa da buttare in campo negli ultimi venti minuti per sparigliare le carte. Nella squadra di Inzaghi, invece, è insostituibile. Risultato: se si ferma Menez, si ferma tutto il Milan.
Questa squadra, quindi, va ripensata in maniera radicale. Ci vuole un tecnico di personalità che sappia gestire lo spogliatoio, un regista che sappia far girare la palla e giocatori che conoscano le parole “sacrificio” e “collettivo”. Per molto tempo la “M” di “Milan” è stato sinonimo di vittoria. Ora, invece, vuol dire cattiva gestione tecnico-societaria. C’è molto da ripensare nel club di Via Aldo Rossi. Il problema è che per farlo ci vogliono idee chiare, soldi e competenza. Tutte cose, che, al momento, mancano.
Davide Luciani
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