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Champions ed Europa League, grazie. L’Italia s’è desta

Una fast-motion in sei atti. Morata manda in paradiso la Juventus e mette al tappeto il Borussia, l’egiziano Salah corre sotto la curva e diventa il nuovo faraone di Firenze, Guarin incenerisce le residue speranze del Celtic con una cannonata chirurgica, De Guzman rifila il pokerissimo ai turchi in balia dello strapotere napoletano, Darmian ammutolisce la bolgia del San Mames dopo un’azione da manuale e Gervinho chiude i conti con il Feyenoord grazie ad un cinico tap-in. Sei a zero. Una squadra eccezionale conquista l’Europa. Una? No, in realtà sono sei, eppure si ha la sensazione che sia una. L’Italia del calcio gioisce e con essa un intero Paese, capace di riscoprirsi nazione per due sere. Un sogno o poco più, ma bellissimo.

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CHAMPIONS ED EUROPA LEAGUE, GRAZIE – Un dettaglio per molti versi casuale, eppure funzionale al racconto, arricchisce l’impatto estetico dell’impresa italiana: tre delle sei squadre impegnate nella due giorni europea è scesa in campo vestita d’azzurro (Inter, Torino e Napoli). Un azzurro acceso, vivo come non mai, che manda in soffitta le maglie sbiadite dell’Italia del pallone, afflitta da anni di mediocrità. Per due giorni romanisti e fiorentini sono stati juventini, gli juventini torinisti e fiorentini, i romanisti interisti e viceversa, napoletani e romanisti fratelli d’Italia. Non si capisce nulla, ma in fondo si è finalmente capito tutto. La gioia incondizionata ad ogni gol dei tifosi dai mille colori è un messaggio di fratellanza patriottica che riscatta in minima parte il nostro calcio. Per due giorni le bestemmie dei Lotito e le mosse tragicomiche dei Manenti sono stati messe da una parte, nel luogo ideale in cui dovrebbero stare 365 giorni l’anno.
L’ITALIA S’È DESTA – L’Italia, Paese dalle mille contraddizioni, non è e non sarà mai una nazione, ma è capace di trovare nel calcio, argomento più che mai divisivo, un motivo per riunificarsi. Non è in grado di farlo per più di due giorni consecutivi, eppure ci riesce. Paradossi. Contraddizioni. Laddove non arriva la politica e l’unità sociale di un Paese, è il calcio, aspetto della vita solo apparentemente veniale, a regalare un senso d’identità senza eguali. Normalmente è la Nazionale ad avere questo ruolo, mentre stavolta l’hanno avuto sei club e l’impresa ha delle conseguenze ancora più forti. Solo per due giorni, ma più forte. In un momento di crisi con pochi eguali, ci si può accontentare di sei bellissime foto. Si parla solo di ottavi di Champions e sedicesimi di Europa League, ma l’Italia ha già vinto un trofeo importante, quello dell’unità. Per una volta. Per due giorni. La vita di un Paese è fatta anche di retorica, meno sterile di quanto possa sembrare all’apparenza. I simboli e l’impatto emotivo di uno sport su un popolo possono avere un impatto travolgente. La fast-motion svanirà presto e riassumerà i toni del bianco ed il nero entro il prossimo weekend (il riferimento alla Juventus è puramente casuale), le polemiche riconquisteranno le prime pagine ed il calcio riassumerà un ruolo divisivo, ma non oggi. Nel momento del messaggio di fine anno, molti cittadini (sportivi e non) preferirebbero il primo piano di una Coppa del mondo al volto del presidente della Repubblica. L’Italia è anche questo, prendere o lasciare.
