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Legge di Stabilità e contributo di sicurezza: il calcio italiano vittima del Governo?
Mani al portafogli per i presidenti delle squadre di calcio del Bel Paese. È da qui che partiamo in questo nuovo appuntamento con Calcio&Economia, rubrica settimanale di SportCafe24 dedicata agli approfondimenti di carattere economico sul mondo del calcio.
LO SCENARIO – Stavolta a dirlo (e a pretenderlo) è il Governo che, tra l’attuale formulazione della Finanziaria 2015 e la Legge Stadi, non sarà di certo foriero di buone notizie per le casse delle società. Bilanci già di per sé in grosse difficoltà e il cui “rosso” totale, con riferimento alla sola Serie A, ha sfiorato – stante quanto riportato dal Report Calcio 2014 messo a punto dal network di servizi professionali britannico PricewaterhouseCoopers – i tre miliardi di euro nella stagione 2012/13.
I FATTI – Due giorni fa, infatti, il Senato ha dato il suo definitivo via libera alla conversione in legge del “Dl Stadi”, tra le cui principali novità rientra la cosiddetta “tassa di sicurezza” per i club di Serie A, la cui introduzione fu già paventata dal Premier Matteo Renzi all’indomani dei tragici fatti di Roma nella finale di Coppa Italia dello scorso 3 Maggio. Di cosa si tratta? Le squadre della massima serie saranno chiamate a contribuire al pagamento degli straordinari delle Forze dell’Ordine, impiegate durante lo svolgimento delle partite, con un prelievo che varia dall’1% al 3% dei ricavi derivanti dal proprio botteghino.
I COSTI – Quanto influirà sostanzialmente questa manovra? Prendendo in considerazione i “ricavi da gara” del 2013, il giornalista de “Il Sole 24 Ore”, Marco Bellinazzo, ha proposto un’interessante simulazione in cui si evidenzia come il prelievo totale imposto dal Governo potrà variare tra gli 1,9 e i 5,6 milioni di euro. Scendendo nel dettaglio la squadra maggiormente “vessata” in tal senso sarebbe la Juventus, chiamata a pagare un conto compreso tra i 380 mila euro e gli 1,14 milioni di euro, seguita dal Milan (contributo richiesto tra i 287 e gli 861 mila euro) e dalla Roma (tra i 212 e i 636 mila euro). Cifre di per sé non esose, ma che potrebbero avere un peso e una valenza economica del tutto diversi qualora l’emendamento del Pd – che punta al calcolo della tassa sull’intero fatturato del club – dovesse trovare concreta attuazione.
NIENTE SCONTI – Spostando l’attenzione sulla Legge di Stabilità 2015 scopriamo come il provvedimento legislativo in questione – nell’escludere il costo del lavoro limitatamente ai dipendenti assunti a tempo indeterminato dal calcolo dell’imponibile I.R.A.P. – non riserverà, alcuno sconto per le squadre italiane. Perché? Nel 1995 la Corte di Giustizia Europea – con la nota “Sentenza Bosman” – ha fissato in 5 anni il tetto massimo di durata di un accordo contrattuale tra un giocatore e una società calcistica. Ergo, i club non possono annoverare dipendenti assunti a tempo indeterminato, bensì esclusivamente tesserati a tempo determinato. Un fattore, quest’ultimo, che esclude i club italiani dalla cerchia dei beneficiari della manovra del Governo che, contestualmente, ha riportato l’aliquota I.R.A.P. dal 3,5% al 3,9% per quelle imprese con in organico lavoratori a tempo determinato. Basti ricordare come sempre la Juventus, nel progetto di bilancio relativo all’esercizio chiuso al 30 giugno 2014, abbia evidenziato il peso negativo (e decisivo) del prelievo fiscale I.R.A.P. sui conti societari che – da un utile ante imposte di 0,1 milioni di euro – ha addirittura determinato un risultato netto negativo di 6,7 milioni di euro.
SCARICABARILI E I SOLITI ALIBI – Le società hanno subito rivendicato il fatto di aver già provveduto in prima persona alle spese necessarie per garantire la sicurezza all’interno degli impianti (leggasi steward), ponendo poi l’accento sul ruolo, dalle stesse ricoperto, di contribuente di prim’ordine per il nostro sistema erariale, cui versano ogni anno – per contributi fiscali e previdenziali – poco più di 1 miliardo di euro. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Le due disposizioni che vi abbiamo poc’anzi descritto non determinano, infatti, un decisivo disequilibrio finanziario nelle strategie economiche dei club italiani (in particolare, quelli di Serie A), chiamati piuttosto a prendere seria coscienza che per ritornare competitivi in campo europeo ed internazionale non si può far leva su aiuti economici esterni (come quelli dello Stato, che darebbe – invece – un suo importante contributo con un intervento legislativo risolutore in materia di costruzione e ristrutturazione degli impianti sportivi), bensì sulle proprie idee e sulle proprie capacità imprenditoriali e manageriali.
Perché in fondo “rimboccarsi le maniche” è l’unico imperativo per la cui attuazione il tempo è davvero scaduto!