Basket
Levenson vende gli Hawks, onestà o sotterfugio?
Pubblicato
7 anni fa|
Editor
Simone Viscardi
Sembrava un atto di coraggio quello di Bruce Levenson, un’ammissione di colpevolezza come poche se ne vedono nel mondo dello Sport. Non è da tutti, del resto, ammettere spontaneamente e candidamente di aver utilizzato epiteti razzisti nelle proprie e-mail, e pertanto autosospendersi dal proprio ruolo sulla plancia di comando. Invece, il gesto dell’ormai ex proprietario degli Atlanta Hawks potrebbe essere stata solo una sottile manovra per staccarsi in fretta e furia dalla franchigia.
I FATTI – La bolla è scoppiata a settembre, anche se tutto è cominciato molto tempo fa. Due anni per l’esattezza, quando cioè Bruce Levenson, azionista di maggioranza degli Hawks dal 2004, in uno scambio di mail con il presidente della propria squadra si era lasciato andare a pesanti insulti di stampo razzista verso i propri tifosi. A luglio, sull’onda lunga del caso Sterling, il patron della franchigia della Georgia aveva deciso di autodenunciarsi al Commissioner Silver, il quale aveva prontamente avviato un’indagine per fare piena luce sull’accaduto. Senza aspettare il verdetto degli organi direttivi dell’Nba, nelle ultime settimane è arrivata la decisione di vendere la franchigia, come segno di consapevolezza dei propri errori.
SOSPETTI E MISFATTI – “Le mie azioni sono in netto contrasto con i principi dell’Nba” queste le parole del comunicato di Levenson, che ha aggiunto “Dopo una lunga riflessione ho compreso che vendere la società sarebbe stata la cosa giusta per gli Hawks e per la città di Atlanta“. Un martire quindi, pentito delle proprie azioni e autoimmolatosi sull’altare del politicamente corretto. Forse però non è tutta “favola americana” quella che luccica. I sospetti, dall’altra parte dell’Atlantico, parlano di uno Stevenson tutt’altro che mal disposto a cedere la squadra, e bisognoso solamente di uno stratagemma per evitare il complicato iter burocratico che una vendita del genere comporta. E cosa meglio di un bello scandalo razzista, in un momento dove l’argomento – nell’Nba e nello Sport americano in generale – è decisamente sulla breccia dell’onda? In effetti, lo scandalo Sterling era già passato da un pezzo a luglio, ed un uomo pentito delle proprie azioni non avrebbe aspettato ben due anni prima di vuotare il sacco, per poi sbrogliare in nemmeno 3 mesi una matassa così intricata. I sospetti rimangono e aleggiano, insieme alla sensazione che di Sterling – probabilmente – nella Nba potrebbero essercene parecchi. L’unica differenza tra loro e l’ex proprietario dei Los Angeles Clippers sta nel fatto che questi sanno essere più discreti nelle loro azioni e dichiarazioni. E più furbi.
Simone Viscardi (@simojack89)
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