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Storie di Sport | Milan-Juventus 2003, quando eravamo Re
Pubblicato
7 anni fa|
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Simone Viscardi
Sabato sera sarà ancora Milan-Juventus. Forse una sfida in tono minore rispetto ad altre edizioni, con meno nomi altisonanti e più sbilanciata del solito, anche se le buone prestazioni del Milan di Inzaghi renderanno senza dubbio più interessante il match. Una volta però queste squadre hanno rappresentato l‘eccellenza del calcio non solo italiano, ma continentale. Era Manchester, era il 2003 – non un millennio fa – ed era il tempo dei fuoriclasse e del calcio italiano in cima all’Europa. Era l’epoca di uomini straordinari e di campioni leggendari. Era il tempo di Milan-Juventus, quando eravamo Re.
CLASSE E MUSCOLI – Le due squadre scese in campo il 28 maggio del 2003 rappresentano perfettamente le due opposte mentalità dei rispettivi tecnici. La corsa e la muscolarità dei bianconeri di Marcello Lippi contro la classe cristallina e i tocchi raffinati del nascente Milan di Carlo Ancelotti. Tra i rossoneri, come da tradizione di bianco vestiti (e già il fatto di avere una tradizione nelle finali di Champions indica una certà nobiltà), nessuna assenza di rilievo, con capitan Paolo Maldini a reggere la difesa e Pirlo a incantare in mezzo al campo. Là davanti spazio al genio compassato di Manuel Rui Costa, al supporto della straripante coppia Inzaghi-Shevchenko. Proprio l’ucraino aveva deciso la semifinale, con il pesantissimo gol in trasferta realizzato nell’EuroDerby contro l’Inter. Già, la semifinale; anche la Juve era reduce da un penultimo atto indimenticabile, vinto schiantando il Real Madrid dei Galacticos in un Delle Alpi mai così infiammato. La sfida coi madrileni aveva però lasciato uno strascico inaspettato, la squalifica del futuro Pallone d’Oro Pavel Nedved. Senza il ceco formazione più coperta, con Zambrotta scalato a centrocampo e Montero sull’out difensivo di sinistra. In attacco Alessandro Del Piero e Monsieur David Trezeguet, l’incubo di ogni difesa.
IL MURO BUFFON – Il protagonista del match però indossa i guantoni. La partita è nevrotica, e le squadre si conoscono troppo bene per riuscire a sopraffarsi l’un l’altra. All’improvviso ecco l’illuminazione: Shevchenko porta palla con la consueta eleganza, prima di allargare sulla destra per l’accorrente Seedorf. Il cross dell’olandese è radiocomandato sull’inserimento di Inzaghi, che di testa colpisce a botta sicura. Gol? No, perchè sul pallone si avventa un gatto con la divisa rosa e il nome Buffon stampato sulla schiena. La parata del portiere juventino è mostruosa, tanto da lasciare esterrefatta la punta piacentina. Poche altre emozioni durante i tempi regolamentari, ma a un passo dall’overtime Conte sveglia il Milan, cogliendo una traversa clamorosa. I supplementari, con le squadre stanche e un po’ intimorite, sono solo l’anticamera dei rigori.
DECIDE SHEVA – Se in campo i muscoli possono competere col talento, dal dischetto la classe finisce sempre con l’emergere. Buffon fa il possibile per ribattere i tiri di Kaladze e Seedorf, ma gli errori pacchiani di Montero, Trezeguet e Zalayeta rendono tutto vano. Birindelli e Nesta – rigoristi a sorpresa – non sbagliano, così come gli attesi Serginho e Del Piero. Il penalty decisivo è sui piedi di Andriy Shevchenko. La camminata verso il dischetto è infinita, e il nervosismo è palpabile. Sheva è come in trance, guarda a destra e a sinistra aspettando il fischio del direttore di gara. Poi la rincorsa, lo stadio che tira il fiato e, infine, il boato della curva rossonera. Palla da una parte, Buffon dall’altra, coppa nelle mani di Maldini. Sembra una favola epica, ma è la realtà, ed era solo un decennio fa. Perchè vincere tutte le partite della settimana europea era la norma, quando eravamo Re.
Simone Viscardi (@simojack89)
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