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Il Chelsea di Mourinho come il Milan di Ancelotti: la storia si ripete
Pubblicato
7 anni fa|


Mourinho & Ancelotti
Ci sono allenatori che vanno ben oltre il proprio ruolo, squadre che superano i limiti tecnici imposti dalla natura, imprese che entrano nella storia per la capacità di sorprendere le masse. Le assonanze fra il Milan di Ancelotti targato 2007 ed il Chelsea di Mourinho versione 2014 sono incredibili, due personaggi umanamente agli antipodi ma a dir poco similari nell’essere i n.1. Non tanto (o non solo) tatticamente parlando, quanto soprattutto per la capacità di essere padri, gestori e motivatori come nessun altro. Di rendere oro il bronzo, di far uscire il massimo dal minimo, di portare all’estremo le motivazioni di chi ha già dato tutto o pensava di averlo fatto.
C’ERA UN MANAGER, DEI SENATORI ED UN FUORICLASSE… – Il Milan di quella stagione viveva un momento difficile della propria storia: penalizzato in classifica dopo le sentenze di Calciopoli, agguantò per un soffio la qualificazione in Champions League battendo in volata il Palermo per il quarto posto, ma grazie alla vittoria di Atene si sarebbe comunque garantita la partecipazione alla coppa dalle grandi orecchie. Era un diavolo spento, sul viale del tramonto e con un’età media tremendamente alta. Il dopo Sheva era stato tremendo: Ricardo Olivera ed Alberto Gilardino tradirono le attese. Ma in una squadra di senatori e “vecchie glorie“, vi era un fuoriclasse capace di alzare da solo il livello della squadra in modo pazzesco. Quell’anno vincerà il pallone d’oro ed il suo nome era Ricardo Kakà. Fu una cavalcata lenta, faticosa, dalla vittoria ai supplementari col Celtic negli ottavi all’impresa di Monaco col Bayern firmata Pippo Inzaghi nei quarti. Poi la “partita perfetta“, la rimonta sullo United e l’accesso in Finale per la rivincita due anni dopo col Liverpool di Benitez. 7 anni dopo, l’alter ego di quella squadra sembra dipinto di blu ed avere in panchina un portoghese che ama definirsi “special one“: già da questo, notiamo una differenza enorme rispetto al pacato Carletto Ancelotti, ma quel che conta è il campo tutto il resto è show. In un aspetto sono indiscutibilmente i n.1: sanno farsi amare dai proprio giocatori come pochi. Sono capaci di tirar fuori il meglio da loro, motivarli sino allo stremo delle forze mentali, rendere verde un’età altrimenti grigia e sul viale del tramonto. Sanno essere l’arma in più, dimostrando che poter fare la differenza dalla panchina è ancora possibile, dove a vincere non è per forza chi spende di più ma chi ha i giocatori più affamati: con un pizzico di furbizia, sagacia ed esperienza, che non guastano mai. Questo Chelsea ha stupito tutti, oggettivamente non fra le migliori 4 rose d’Europa, non all’altezza di un Psg che più di tutti ha speso negli ultimi 3 anni: ma non solo è in semifinale, ma a differenza di quel Milan è a soli due punti dal titolo inglese.
E allora via al gioco delle coppie: Dida come Cech, Oddo come Ivanovic, Terry come Nesta, il modesto Azpilicueta come Jankoulovski: a centrocampo Seedorf era il tuttofare che oggi ancora vediamo in Lampard, il fuoriclasse Kakà da un lato e l’aspirante tale Hazard dall’altro fino all’emblema della punta, che rappresenta alla perfezione l’essenza dei due “old team“. 33 anni, hanno vinto tutto, carisma immenso, esperienza da vendere ed abitudine a giocare “quel” tipo di partite: Super Pippo Inzaghi e Samuel Eto’o. Al Chelsea manca ancora qualche ostacolo da superare per legittimare un simile paragone ed un impresa di quella portata, ma gli ingredienti ci sono tutti: e se il “cuoco” ammette anche di avere un po’ di sano “culo“, allora tutto è possibile. Magari proprio contro l’altro Masterchef, oggi vestito di blancos, ma dentro eternamente rossonero…
Orazio Rotunno
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