Cinema
The pig of Wall Street
Chi è Jordan Belfort? Jordan è uno che è nato nel Bronx, ma ha sempre avuto una gran voglia di fare quattrini; si è preso la licenza da broker e (dopo aver perso il posto di lavoro in quel maledetto lunedì nero dell’87) ha fondato la sua società di brokeraggio: Stratton Oakmont, che propina azioni fraudolente ai propri clienti. Dopo aver trascorso una vita al limite dell’eccesso (sessuale e nell’abuso di stupefacenti), il nostro Wolfy (ma noi lo chiameremmo volentieri Piggy se questo non fosse già il nomignolo del più amorevole personaggio di William Golding) viene incriminato per frode e riciclaggio. Collabora con l’FBI e sconta 22 mesi di carcere (oltre a dover risarcire i truffati). In prigione (dove non pare passarsela troppo male), Jordan decide di scrivere la sua autobiografia, il cui titolo è The Wolf of Wall Street.
Una volta scontata la pena, il Nostro riprende una brillante carriera tenendo seminari sulle strategie di vendita. Certo, se uno tesse le proprie lodi è portato a scegliere un animale che, nell’immaginario comune, rappresenti le doti che pensa essere (o vorrebbe fossero) proprie. Diciamoci la verità, però: se la storia di questo broker è quella che ci racconta Scorsese, beh, Jordan è tutto fuorché un lupo. Potremmo dire, invece, che è un maiale! Evitiamo equivoci. Con questo paragone non si vuole di certo offendere nessuno (maiale compreso, s’intende!) Il maiale è un animale molto intelligente, con un forte istinto sociale (così dicono gli etologhi) ma qual è la sua caratteristica distintiva? Il fatto che sia onnivoro e ingordo. O, almeno, noi ce lo figuriamo così. E onnivori e ingordi sono i personaggi di questo film (Jordan su tutti). Una voracità insaziabile, una ghiottoneria infinita di soldi, sesso e droga. Per vero, in qualche momento, specie quando intona la canzone insegnatagli dal suo mentore (l’onanista e cocainomane Mark Hanna, interpretato un Matthew McConaughey che non delude mai), Jordan sembra anche un po’ un gorilla.
CON LA SCALA REALE SI VINCE SEMPRE? – Andare a vedere un film di Scorsese, con Di Caprio come protagonista, è come avere in mano una Scala reale a una partita di poker. Eppure, se in tutte le altre partire con la stessa mano si era vinto, questa volta si ha la sensazione di poter comunque perdere. Cosa? La magia del Grande Cinema! Con una Scala reale? Ma come è possibile? La sensazione è proprio questa. Non si tratta di un brutto film, no, e Di Caprio è magistrale, come sempre (l’Oscar se lo merita già da un po’!). Ma non basta la sua interpretazione a togliere i dubbi sulla riuscita dell’opera. Il film non convince fino in fondo.
Cosa c’è che non va? Troppo lungo (179 minuti) e la prima ora e mezza è godibilissima, ma il secondo tempo stanca, si appesantisce nonostante la leggerezza della materia trattata. Jonah Hill, o meglio il personaggio da lui interpretato (Donnie Azoff, socio e cofondatore della Stratton), è irritante fino all’inverosimile. L’assenza di profondità nei personaggi non è per forza un difetto, se sopperita da un’azione trascinante che qui pare non esserci. Il vero punto non è questo, arriviamo al sodo. L’impressione è che il sarcasmo, la forza dissacratoria di Scorsese non siano arrivati ai più. Molti diranno: «Beh, ma che colpa ha lui? È il pubblico che non capisce!», ma per una volta ci troviamo ad ammettere che, in qualche modo, il pubblico ha ragione. Quest’affermazione può infastidire: non si vuole privare l’arte di quella dimensione spesso incompresa da molti. Però se proponi un tuo lavoro al pubblico (al grande pubblico, non a quello che va in dolcevita a vedere film di nicchia – adorabili cliché!) con un determinato intento e quell’intento non riesce, in qualche modo hai fallito. Alcune scene, grottesche, sono esilaranti e le risate sono più che giustificate (fantastico l’accostamento Popeye- spinaci, Jordan-cocaina); altre, invece, risultano addirittura fastidiose (ricordiamo Jordan che, semiparalizzato a causa della droga assunta, si trascina fino alla macchina in una sequenza veramente TROPPO lunga!). Non è colta fino in fondo l’ironia, la parodia di una vita vuota e assurda, totalmente priva di moralità. Passa l’idea che chi sperpera denaro (guadagnato in modo illecito) in droga e prostitute sia un eroe, un modello, un mito. E, siamo sinceri, almeno in Italia, è l’idea che va per la maggiore già da un po’. Un lupo è un animale affascinante e piace sempre. Si sa che vince, un lupo. Ma diamo il nome giusto alle cose. Nessun idolo: non sono lupi, son maiali. Di questi animali ci raccontava Orwell e, molto più prosaicamente, J-AX ci ricorda come vanno a finire le cose per loro: «la morale è che un maiale non sa mai che il futuro spesso è un limone in bocca ed una carota in… » l’ultima parola la lascio a voi.
Elisa Belotti