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Calcio Estero

Son finiti i tempi cupi: il Cardiff City torna in Premier dopo 51 anni

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CARDIFF, 17 APRILE – Premier League, finalmente! Dopo un tunnel lungo 51 anni (risale al 1962 l’ultima apparizione dei Bluebirds nel massimo campionato inglese), il Cardiff City torna a vedere la luce: bastava un punto per conquistare matematicamente la promozione, e così è stato. Grazie al sofferto pareggio interno contro il Charlton (0 a 0), la squadra di Malky Mackay ha ora 13 lunghezze di vantaggio sul Watford terzo in classifica a 4 giornate dalla fine: il sogno di due generazioni di tifosi diventa realtà, e quando l’arbitro fischia la fine della partita (e dell’incubo) i 27mila del Cardiff City Stadium si riversano sul terreno di gioco pazzi di gioia.

DOMINATORI INCONTRASTATI84 punti, 25 vittorie, 68 gol realizzati (secondo miglior attacco del torneo dopo il Watford di Gianfranco Zola) e solo 41 subiti (miglior difesa insieme al Brighton: ben 16 le gare concluse a porta inviolata). Le cifre della squadra che ha dominato la Championship dall’inizio alla fine parlano chiaro, e riflettono l’immagine della forza del collettivo e dei suoi uomini più rappresentativi: il 33enne attaccante gallese Craig Bellamy (ex Newcastle, Liverpool e West Ham) innanzitutto, e poi gli islandesi Gunnarsson e Helguson, il portiere David Marshall, l’estroso centrocampista della nazionale sudcoreana Kim Bo-Kyung e infine, last but not least, lo scozzese Malky Mackay, allenatore e leader carismatico. Continuità dei risultati, solidità in difesa e capacità di andare in gol con un gran numero di giocatori (nessuno dei quali, neppure Bellamy, ha uno score in doppia cifra): questo è il Cardiff City, una squadra fatta a immagine e somiglianza del suo tecnico: rocciosa e vincente.

QUESTIONE DI MARKETING – Dietro al successo dei Bluebirds non c’è solo la mano di Mackay, naturalmente, ma anche (e in particolar modo) quella del suo vulcanico e ricchissimo presidente, il malese Datuk Chan Tien Ghee. Il calcio è uno sport ma è soprattutto business: sulla base di questo assioma Ghee ha costruito le fortune dei gallesi partendo dal nuovo stadio (il vecchio Ninian Park è stato sostituito a tempo di record dallo scintillante Cardiff City Stadium) e poi allargando a tutto il Galles e non solo il bacino dei potenziali tifosi (circoscritti alla città o poco più). Per conseguire lo scopo, nel giugno 2012 il magnate malese ha imposto – fra il malcontento generale – il cambio dei colori sociali (il blu, che sopravvive solo sulla divisa da trasferta, viene abbandonato in favore del rosso, colore nazionale del Galles) e dello storico simbolo della società, anch’esso sacrificato nel nome del marketing (il Bluebird cede quindi il passo al dragoneY Ddraig Gochgallese). Al di là delle apparenze c’è ben poco di patriottico in tutto ciò: il colore rosso e il drago, infatti, in oriente simboleggiano la fortuna e aumentano a dismisura le possibilità di vendita del merchandising sul mercato asiatico.

L’ANNO DEL DRAGONE – Detestato per il drastico – ma indubbiamente propizio – restyling dell’immagine e altre decisioni non meno impopolari (anche il nome del nuovo stadio, lo sponsor è ancora da decidere, è motivo di amarezza per i tifosi: persino St. David si è dovuto inchinare alle divinità del business) Ghee si è però fatto perdonare – forse – nel migliore dei modi: dopo mezzo secolo di astinenza la Premier League è finalmente tornata a Cardiff e i tifosi (rigorosamente in blu) sognano in grande. I capitali e le capacità ci sono, la squadra pure: gli ingredienti per battere lo Swansea nel prossimo South Wales derby (e per giocare da protagonisti fra i più grandi) ci sono tutti. A partire dalla buona stella.

Enrico Steidler

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