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Mancini, Gabbiadini e l’arte malinconica di Genova

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Manolo Gabbiadini, primo colpo del Napoli

Immaginate di essere dentro ad una macchina del tempo, ma il tempo stesso non c’è, si è fermato. Due storie da raccontare, due campioni dello sport a confronto, il passato ed il presente si uniscono in un unico racconto. Tutto questo, e molto altro, in “Ritorno al futuro”, la nuova rubrica del mercoledì di SportCafe24.

Roberto Mancini e Manolo Gabbadini: due campioni a confronto

Roberto Mancini e Manolo Gabbadini: due campioni a confronto

GENOVA PER LORO – Se si ha uno sguardo un po’ così, il broncio in faccia e l’urlo strozzato in gola ad ogni gol, essere amati diventa difficile. Difficile, ma non impossibile. È lo strano destino degli artisti maledetti. Esiste però una città in grado di coccolare i suoi geni. Genova è un po’ come loro. Bella, bellissima ma perennemente malinconica, in bilico tra l’estasi da amplesso artistico e mille pensieri che albergano nei viottoli di un porto di mare. Non ride quasi mai, ma strappa un piccolo sorriso ed uno strano senso di caoticità da tenere dentro di sé. La Genova di De Andrè, Tenco e Lauzi è per certi versi la stessa di Roberto Mancini e Manolo Gabbiadini. Il paragone è ardito, irriverente, ma Genova è di tutti, anche la loro .

ROBERTO MANCINI, IL “BIMBO” IMBRONCIATO – Mancini era in grado di illuminare il Ferraris con una sola giocata. Quella giusta. Dopo aver vissuto la sua adolescenza in una caserma calcistica, aveva sempre la sensazione di non aver vissuto appieno la sua infanzia. Detestava esser chiamato “bimbo”. Giocava con la spontaneità di un bambino ed il genio arrogante di chi non era secondo a nessuno. In bilico tra passato e presente, viveva il calcio sempre allo stesso modo. Genova e la Sampdoria sono state sue per quindici anni lunghissimi. Una storia passionale, difficile e ricca di amore e contrasti. Mancini era scontroso e con addosso un frac bellissimo. Ad ogni suo gol, un momento di silenzio descriveva l’incredulità per un colpo di tacco o una punizione perfetta. In quel momento la sua spocchia si trasformava in arte e in tutti il fastidio lasciava spazio alla gioia scatenata dalla bellezza. Non voleva gabbie né limitazioni di sorta. Mancini era un campione anarchico senza leggi. Genova non gli tarpava le ali, gli permetteva di spiegarle delicatamente.

MANOLO GABBIADINI, L’ARTISTA TACITURNO – Così diverso, così simile. Gabbiadini ha raccolto idealmente l’eredità doriana di Mancini. L’amore che lega il secondo al primo non è casuale. Manolo gioisce per ogni gol, ma non lo da a vedere. Accenna un sorriso e lo sguardo è glaciale, indecifrabile. Non ha l’irriverenza dei suoi 23 anni. Non adora la semplicità, cerca sempre la giocata più difficile. Da Mihajlovic sta apprendendo ogni segreto sull’arte del calcio di punizione, dalla città di Genova l’amore per l’arte dell’estetica. A questo unisce una dose crescente di cinismo, fondamentale per sentirsi sempre più quello che vorrebbe essere: un bomber di razza. Mancini e Gabbiadini, così simili e così diversi. Il destino è strano:  a chi lo voleva prima punta, Roberto chiedeva di lasciarlo in pace, mentre per Manolo è il contrario. Ha giocato da ala e da seconda punta, ma lui non era mai soddisfatto. Voleva giocare più avanti di tutti, nell’angolo di terra illuminato degli Dei calcistici. Con la maglia della Sampdoria ha trovato la sua strada e ritrovato la via della rete. Segna e suggerisce per Okaka, così come faceva Mancini con l’amico Vialli. Artisti maledetti e introversi, ma in fondo non poi così solitari. Genova è malinconica, ma le occasioni per trovare l’anima gemella non mancano. È l’incantesimo di una città e del suo calcio.

 

 

 

Inseguo il sogno di diventare giornalista dal 1989, anno in cui sono nato. Appassionato di ciclismo e calcio, mi impegno per raccontare il mondo dello sport da un punto di vista particolare, un po' eclettico, un po' folle.

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