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Cinema

Tutto in famiglia: Tarantino, i giapponesi e le lunghe ombre dei fratelli Carradine

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Quentin Tarantino

La cosa più affascinante di un cinema come quello tarantiniano non è (più) tanto il citazionismo visivo, quanto la questione dei corti circuiti relazionali da esso subiti o provocati. Ci riferiamo proprio alle amicizie e alle influenze createsi intorno al Maestro (così lo chiamano i cinefili 2.0) e ramificatesi negli ultimi 20 anni da Hollywood alla Russia, dal Giappone all’Australia. Produttori, registi e scrittori appassionati di B Movies, collezionisti maniacali ed enciclopedie umane: tutti sulle tracce del Pulp. Eli Roth con Robert Rodriguez con Frank Miller. E Takashi Miike. E ancora, gli assistenti alla regia, i direttori della fotografia, le maestranze e gli attori: come una grande famiglia, li immaginiamo telefonarsi in piena notte con toni da fiera dello stato e dirsi “Ehi, Bob! Come te la passi? Ho questo ruolo, è roba da poco ma devi sparare a un tizio in un costume da pollo. Ci stai?”. E, naturalmente, Bob ci sta. Ma solo perché altrimenti passerebbe un altro mese a strafogarsi di pop-corn col burro tra un ciak e l’altro dell’ennesima crime serie poliziesca girata a New York, nella quale interpreta un serial killer.

RobertCorradine

Robert Corradine

DUE COMPLEANNI, DUE PERSONAGGI – Ad ogni modo, ciò che preme registrare sono gli imminenti compleanni di Robert Carradine (60 anni domani) e Quentin Tarantino (51 mercoledì). Il primo è – per capirci – il più giovane dei figli del mitico John Carradine, riuniti da Walter Hill ne “I cavalieri dalle lunghe ombre”(1980). Quello – per capirci meglio (ma forse no) – che esordì al fianco di un anziano John Wayne un po’ prima che questi conoscesse Ron Howard. Lo stesso anno in cui il fratello Keith incontrava Robert Altman e strimpellava la chitarra senza immaginare che un giorno avrebbe partecipato a “Criminal Minds” con un memorabile ruolo da villain. Lo stesso anno in cui il fratello David salutava il Kung Fu e Martin Scorsese e si avviava alla volta di “Kill Bill”(2003-04) passando da (in quest’ordine, tra gli altri) Ingmar Bergman, Roger Corman, Larry Cohen, Terence Young e John Badham. Mentre il nostro Robert è finito nelle mani di Tarantino soltanto per il recente “Django Unchained”(2012), dopo una carriera inconfutabilmente mediocre (Hilary Duff e Tom Selleck, a titolo d’esempio).

UN PANORAMA INDIPENDENTE – Insomma, il gioco dei rimandi nel mondo (para)tarantiniano ha dell’incredibile. Ancor più se si va cercando Michael (Mr Blonde) Madsen in certo panorama indipendente: ora in “Hell Ride”, diretto dall’attore maledetto Larry Bishop, ora in “Road of No Return”, sempre insieme a David Carradine (che ci ha lasciati nel 2009). E se tutto questo non dovesse bastare, siamo certi che la recentissima pubblicazione Quentin Tarantino. Asfalto nero e acciaio rosso sangue di Simona Brancati per Le Mani saprà accontentare i palati più esigenti in materia. Perché se su questo particolare cinema si è ormai detto tutto, almeno per ciò che concerne il piano critico – il che pare comunque improbabile –, lo stesso non può valere per il piano prettamente storico-contestuale e soprattutto per quello squisitamente aneddotico. Molti sono i percorsi ancora inesplorati. Molte le tracce lasciate da quelle telefonate notturne. Molte le storie. Dunque, auguri a Robert e auguri a Quentin. Che possano ritrovarsi in qualche angolo del mondo, magari sul set di qualche banalissimo road movie a trangugiare birra scadente ricordando il buon David. E, per favore, basta con i western.

Alessandro Amato

La redazione del magazine che ha fatto la storia del giornalismo sportivo online moderno

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